IL SENSO DI UNA SACROSANTA E TEMPESTIVA QUERELA

Il senso di una sacrosanta e tempestiva querela

 

Non può essere lasciata impunita la cinica strumentalizzazione con cui, mentendo, si cerca di presentare la corruzione come un male endemico senza connotati, neutro come una calamità naturale, che riguarda tutti indistintamente.

Molti giornali hanno dato grande risalto agli stralci di intercettazioni telefoniche acquisiti dall’inchiesta in corso sulla così detta “mafia capitale” e tra questi al passaggio in cui Salvatore Buzzi riferisce che le buste piene di denaro venivano consegnate “a tutti … tutti … Pure a Rifondazione”. Non è questa un’affermazione che poteva rimanere senza reazione e bene ha fatto, quindi, il segretario del PRC Paolo Ferrero a dare immediato mandato ai legali per proporre querela in confronto di “chi ha fatto queste affermazioni e per costituirci parte civile nel processo, in modo che si possa fare piena luce sulla vicenda, ripristinando la verità”.

È chiaro, infatti, che in questo modo si è tentato di utilizzare il nome di Rifondazione Comunista per coprire il senso politico dell’intreccio tra malavita organizzata e i responsabili investiti di ruoli istituzionali pubblici. Dire che i soldi venivano dati anche a Rifondazione, serve a generalizzare, a presentare la corruzione come un male endemico senza connotati, neutro come una calamità naturale, che riguarda tutti indistintamente.
Questo è inammissibile e intollerabile.
Sappiamo bene che di fronte alla gravità di fenomeni come quello che, in tutti i suoi aspetti, sta venendo alla luce con l’inchiesta sulla “mafia romana”, la risposta deve essere soprattutto politica e deve basarsi sulla denuncia del senso strutturale e nient’affatto casuale dell’intreccio tra potere politico e potentati economici. Deve dar vita a una reazione connotata dal protagonismo di un diverso blocco sociale che si candidi a dirigere la cosa pubblica, non bastando denunciare i misfatti dal solo, pur giusto, punto di vista della “questione morale”.
Ma mentre lavoriamo a questa prospettiva, che è la nostra stessa “ragione di esistenza”, è anche giusto che utilizziamo, pure come segnale di una reazione che vogliamo forte e chiara, gli strumenti dello stato di diritto in cui (teoricamente) viviamo.
E allora, chiedere di querelarsi e di voler agire per il risarcimento dei danni alla reputazione e al “buon nome” politico di Rifondazione Comunista è il modo per formalizzare la volontà di perseguire, in ogni sede, un vero e proprio delitto quale è quello della diffamazione.
Non certo per farne oggetto di un privato contenzioso, ma per denunciare che non si può usare il nome dei comunisti per coprire il senso vero del malaffare. E per aprire, anche nelle sedi istituzionali della “giustizia” un nuovo capitolo di ricerca della verità. E perché non può essere lasciata impunita una cinica strumentalizzazione con cui si offende chi ha scelto la politica non come luogo degli affari, ma come luogo della trasformazione della società.